Torino dimenticata. Ricognizioni tra memorie e luoghi di un tempo

un libro di Milo Julini

<p class="has-drop-cap" value="<amp-fit-text layout="fixed-height" min-font-size="6" max-font-size="72" height="80">In libreria l’ultimo lavoro di Milo Julini, ricercatore, scrittore e docente in pensione dell’Università di Torino dal titolo: <em>Torino dimenticata. Ricognizioni tra memorie e luoghi di un tempo</em>. (Baima e Ronchetti, Castellamonte, 271 pagine, 18€). Sotto forma di raccolta di medaglioni biografici, il curiosissimo Milo Julini getta una luce su quei personaggi dimenticati nel <em>canton dla dësmentia </em>(dimenticatoio)come lui lo definisce. Personaggi che ha proposto in svariate conferenze e che ora trovano una collocazione nel libro: “Spesso uso il termine <em>desaparecido </em>per indicare persone che, dopo aver rivestito una certa importanza in vita, da morti non vengono più ricordati”. Celebri, meno celebri e totalmente dimenticati, il libro è diviso in sei quadri: <em>luoghi e personaggi del risorgimento torinese, artisti e scienziati, sindaci di Torino, santi sociali</em>. Nello spazio dedicato a <em>Il re Vittorio Emanuele II nella sua vita intima</em>, Julini ripropone deliziosi ritratti di corte, del re vestito alla cacciatora sempre salvo cambiarsi solo di cappello per le circostanze ufficiali e i rapporti comici con i suoi cortigiani, tratti da: <em>Sul re Vittorio Emanuele nella sua vita intima. Bozzetti di Fausto; asterichi a matita di Mefistofele” di Rinaldo De Sterlich </em>edito nel 1878. Ultimo quadro è quello dedicato a <em>Torino tra memorie e luoghi di un tempo</em>. Naturalmente una parte ispiratrice del lavoro è legata alla toponomastica cittadina, spesso sconosciuta o trascritta malamente e spesso senza un nesso con il luogo. Ad esempio la barriera di Lanzo raccoglie nei nomi delle vie i garibaldini piemontesi che fecero parte dei Mille della spedizione. Come il caso del garibaldino canavesano Giovanni Destefanis che dà il nome all’omonima via torinese, era nato a Castellamonte il 18 luglio 1832, ma per anni fu confusa con Castellammare… .Vie, corsi, piazze, luoghi e tanti personaggi della Torino che fu, ritrovano in questo lavoro una collocazione che non vuole avere la pretesa di essere esaustiva, in cui l’autore, sebbene innamorato della sua Torino, non si sente un “addetto ai lavori” e così dichiara:” Questo si fa sentire nella scelta delle tematiche considerate nei miei articoli che sfugge ad ogni criterio sistematico e aggrega gli argomenti per suggestioni.” Milo Julini ha all’attivo, tra i vari articoli anche numerosi volumi: <em>Processi e sorrisi. Racconti giudiziari (1865-1878)</em> nel 2012, dell’anno successivo <em>Cronache criminali del vecchio Piemonte</em> e <em>Il primo scandalo dell’Italia unita</em>. Nel 2014: <em>Ombre coltelli e scheletri. Due secoli di Torino noir</em> e nel 2017 <em>Torino che non c’è più</em>, seguito da <em>Ladri di cioccolato e altre storie giudiziarie</em> con Giorgio Enrico Cavallo.In libreria l’ultimo lavoro di Milo Julini, ricercatore, scrittore e docente in pensione dell’Università di Torino dal titolo: Torino dimenticata. Ricognizioni tra memorie e luoghi di un tempo. (Baima e Ronchetti, Castellamonte, 271 pagine, 18€). Sotto forma di raccolta di medaglioni biografici, il curiosissimo Milo Julini getta una luce su quei personaggi dimenticati nel canton dla dësmentia (dimenticatoio)come lui lo definisce. Personaggi che ha proposto in svariate conferenze e che ora trovano una collocazione nel libro: “Spesso uso il termine desaparecido per indicare persone che, dopo aver rivestito una certa importanza in vita, da morti non vengono più ricordati”. Celebri, meno celebri e totalmente dimenticati, il libro è diviso in sei quadri: luoghi e personaggi del risorgimento torinese, artisti e scienziati, sindaci di Torino, santi sociali. Nello spazio dedicato a Il re Vittorio Emanuele II nella sua vita intima, Julini ripropone deliziosi ritratti di corte, del re vestito alla cacciatora sempre salvo cambiarsi solo di cappello per le circostanze ufficiali e i rapporti comici con i suoi cortigiani, tratti da: Sul re Vittorio Emanuele nella sua vita intima. Bozzetti di Fausto; asterichi a matita di Mefistofele” di Rinaldo De Sterlich edito nel 1878. Ultimo quadro è quello dedicato a Torino tra memorie e luoghi di un tempo. Naturalmente una parte ispiratrice del lavoro è legata alla toponomastica cittadina, spesso sconosciuta o trascritta malamente e spesso senza un nesso con il luogo. Ad esempio la barriera di Lanzo raccoglie nei nomi delle vie i garibaldini piemontesi che fecero parte dei Mille della spedizione. Come il caso del garibaldino canavesano Giovanni Destefanis che dà il nome all’omonima via torinese, era nato a Castellamonte il 18 luglio 1832, ma per anni fu confusa con Castellammare… .Vie, corsi, piazze, luoghi e tanti personaggi della Torino che fu, ritrovano in questo lavoro una collocazione che non vuole avere la pretesa di essere esaustiva, in cui l’autore, sebbene innamorato della sua Torino, non si sente un “addetto ai lavori” e così dichiara:” Questo si fa sentire nella scelta delle tematiche considerate nei miei articoli che sfugge ad ogni criterio sistematico e aggrega gli argomenti per suggestioni.” Milo Julini ha all’attivo, tra i vari articoli anche numerosi volumi: Processi e sorrisi. Racconti giudiziari (1865-1878) nel 2012, dell’anno successivo Cronache criminali del vecchio Piemonte e Il primo scandalo dell’Italia unita. Nel 2014: Ombre coltelli e scheletri. Due secoli di Torino noir e nel 2017 Torino che non c’è più, seguito da Ladri di cioccolato e altre storie giudiziarie con Giorgio Enrico Cavallo.

Prima prova: “Mai visto il mare” il romanzo di Lucia Berardi

Lucia Berardi è (straordinariamente) alla sua prima fatica letteraria con un esito davvero inaspettato: non soltanto l’aver vissuto e assimilato quel lessico letterario creato da Cesare Pavese e da Beppe Fenoglio che riguarda Langa e il Piemonte, ma ha saputo ridare in “Mai visto il mare” quel tono indispensabile di quella letteratura degli anni ’50, la letteratura del cambiamento epocale del Piemonte, il suo passato contadino e la grande inurbazione del “progresso” che stava stravolgendo e seppellendo il modo millenario di vivere della terra e dell’agricoltura e dei riti connessi. I personaggi del romanzo di Lucia Berardi si muovono in contesti uguali e differenti insieme e poi crescono e diventano adulti. Esattamente come le figure dei due protagonisti, Vincenzo, figlio di contadini a cui viene affiancata un’orfana, Mara, per avere il sussidio in danaro garantito alla famiglia contadina di lui e un aiuto femminile in casa, nella stalla, nei campi. Un altro tassello ben curato nella narrazione è la proiezione di quel lessico letterario che ne diventa il trampolino di lancio: da un lato la via della città, dell’inurbamento delle lotte e delle contraddizioni che contraddistingue il personaggio femminile, concreto quanto forse più forte ad accettare la realtà delle lotte e delle sconfitte; dall’altro la via dell’artista che ha bisogno di sublimare tutta quella sofferenza in una ricerca di sé stesso a spasso per l’Europa e per il Mediterraneo con i lavori più disparati, dal raccoglitore di lavanda in Provenza, al marinaio in Sicilia salvo poi approdare al vero punto di riferimento piemontese che era e resta Parigi. Approdo non finale perché poi la trama, tra le innumerevoli gemmature dei personaggi che crescono, torna a fare il punto alla cascina nella Langa con il finale: e allora il mito può finalmente nascere trasfigurando il tempo passato tra le colline. Editrice Tipografia Baima-Ronchetti & C., Castellamonte, ottobre 2020, 287 pagine, 15 €.Lucia Berardi è (straordinariamente) alla sua prima fatica letteraria con un esito davvero inaspettato: non soltanto l’aver vissuto e assimilato quel lessico letterario creato da Cesare Pavese e da Beppe Fenoglio che riguarda Langa e il Piemonte, ma ha saputo ridare in “Mai visto il mare” quel tono indispensabile di quella letteratura degli anni ’50, la letteratura del cambiamento epocale del Piemonte, il suo passato contadino e la grande inurbazione del “progresso” che stava stravolgendo e seppellendo il modo millenario di vivere della terra e dell’agricoltura e dei riti connessi. I personaggi del romanzo di Lucia Berardi si muovono in contesti uguali e differenti insieme e poi crescono e diventano adulti. Esattamente come le figure dei due protagonisti, Vincenzo, figlio di contadini a cui viene affiancata un’orfana, Mara, per avere il sussidio in danaro garantito alla famiglia contadina di lui e un aiuto femminile in casa, nella stalla, nei campi. Un altro tassello ben curato nella narrazione è la proiezione di quel lessico letterario che ne diventa il trampolino di lancio: da un lato la via della città, dell’inurbamento delle lotte e delle contraddizioni che contraddistingue il personaggio femminile, concreto quanto forse più forte ad accettare la realtà delle lotte e delle sconfitte; dall’altro la via dell’artista che ha bisogno di sublimare tutta quella sofferenza in una ricerca di sé stesso a spasso per l’Europa e per il Mediterraneo con i lavori più disparati, dal raccoglitore di lavanda in Provenza, al marinaio in Sicilia salvo poi approdare al vero punto di riferimento piemontese che era e resta Parigi. Approdo non finale perché poi la trama, tra le innumerevoli gemmature dei personaggi che crescono, torna a fare il punto alla cascina nella Langa con il finale: e allora il mito può finalmente nascere trasfigurando il tempo passato tra le colline. Editrice Tipografia Baima-Ronchetti & C., Castellamonte, ottobre 2020, 287 pagine, 15 €.