Prima prova: “Mai visto il mare” il romanzo di Lucia Berardi

Lucia Berardi è (straordinariamente) alla sua prima fatica letteraria con un esito davvero inaspettato: non soltanto l’aver vissuto e assimilato quel lessico letterario creato da Cesare Pavese e da Beppe Fenoglio che riguarda Langa e il Piemonte, ma ha saputo ridare in “Mai visto il mare” quel tono indispensabile di quella letteratura degli anni ’50, la letteratura del cambiamento epocale del Piemonte, il suo passato contadino e la grande inurbazione del “progresso” che stava stravolgendo e seppellendo il modo millenario di vivere della terra e dell’agricoltura e dei riti connessi. I personaggi del romanzo di Lucia Berardi si muovono in contesti uguali e differenti insieme e poi crescono e diventano adulti. Esattamente come le figure dei due protagonisti, Vincenzo, figlio di contadini a cui viene affiancata un’orfana, Mara, per avere il sussidio in danaro garantito alla famiglia contadina di lui e un aiuto femminile in casa, nella stalla, nei campi. Un altro tassello ben curato nella narrazione è la proiezione di quel lessico letterario che ne diventa il trampolino di lancio: da un lato la via della città, dell’inurbamento delle lotte e delle contraddizioni che contraddistingue il personaggio femminile, concreto quanto forse più forte ad accettare la realtà delle lotte e delle sconfitte; dall’altro la via dell’artista che ha bisogno di sublimare tutta quella sofferenza in una ricerca di sé stesso a spasso per l’Europa e per il Mediterraneo con i lavori più disparati, dal raccoglitore di lavanda in Provenza, al marinaio in Sicilia salvo poi approdare al vero punto di riferimento piemontese che era e resta Parigi. Approdo non finale perché poi la trama, tra le innumerevoli gemmature dei personaggi che crescono, torna a fare il punto alla cascina nella Langa con il finale: e allora il mito può finalmente nascere trasfigurando il tempo passato tra le colline. Editrice Tipografia Baima-Ronchetti & C., Castellamonte, ottobre 2020, 287 pagine, 15 €.Lucia Berardi è (straordinariamente) alla sua prima fatica letteraria con un esito davvero inaspettato: non soltanto l’aver vissuto e assimilato quel lessico letterario creato da Cesare Pavese e da Beppe Fenoglio che riguarda Langa e il Piemonte, ma ha saputo ridare in “Mai visto il mare” quel tono indispensabile di quella letteratura degli anni ’50, la letteratura del cambiamento epocale del Piemonte, il suo passato contadino e la grande inurbazione del “progresso” che stava stravolgendo e seppellendo il modo millenario di vivere della terra e dell’agricoltura e dei riti connessi. I personaggi del romanzo di Lucia Berardi si muovono in contesti uguali e differenti insieme e poi crescono e diventano adulti. Esattamente come le figure dei due protagonisti, Vincenzo, figlio di contadini a cui viene affiancata un’orfana, Mara, per avere il sussidio in danaro garantito alla famiglia contadina di lui e un aiuto femminile in casa, nella stalla, nei campi. Un altro tassello ben curato nella narrazione è la proiezione di quel lessico letterario che ne diventa il trampolino di lancio: da un lato la via della città, dell’inurbamento delle lotte e delle contraddizioni che contraddistingue il personaggio femminile, concreto quanto forse più forte ad accettare la realtà delle lotte e delle sconfitte; dall’altro la via dell’artista che ha bisogno di sublimare tutta quella sofferenza in una ricerca di sé stesso a spasso per l’Europa e per il Mediterraneo con i lavori più disparati, dal raccoglitore di lavanda in Provenza, al marinaio in Sicilia salvo poi approdare al vero punto di riferimento piemontese che era e resta Parigi. Approdo non finale perché poi la trama, tra le innumerevoli gemmature dei personaggi che crescono, torna a fare il punto alla cascina nella Langa con il finale: e allora il mito può finalmente nascere trasfigurando il tempo passato tra le colline. Editrice Tipografia Baima-Ronchetti & C., Castellamonte, ottobre 2020, 287 pagine, 15 €.

BERNARDO PERAZZONE, un fotografo eporediese alla Grande Guerra

a cura di: Fabrizio Dassano, Elisa Benedetto, prefazione di Lucio Fabi

ASAC – Associazione di Storia e Arte Canavesana – Ivrea 2018.


Descrizione fisica: 275 p. : in gran parte ill. ; 30 cm.





Bernardo Perazzone al fotoritocco

Per fare un ritratto di Bernardo Perazzone bisogna fare riferimento alla documentazione militare e ai ricordi familiari. Per la prima ci siamo indirizzati ai documenti del soppresso Distretto Militare di Vercelli, che amministrò la vita militare del Perazzone, noto a Ivrea per la lunga carriera di fotografo che vi svolse.

Il libro

 Egli aveva aperto dopo la fine della Grande Guerra l’esercizio commerciale di “Fotografia e vendita articoli fotografici B. Perazzone” al numero 33 dell’antica Piazza d’Armi, nella zona orientale della città, poco distante dalla chiesa di San Lorenzo.  Lo “Studio Fotografico Perazzone” nei decenni successivi si trasferì quindi prima in Corso Nigra (Casa Getto), in via Perrone (oggi via dei Patrioti) 7 e infine in via Palestro 88, dove rimase fino alla chiusura. Per un certo periodo Perazzone ebbe anche un secondo negozio in centro ad Aosta.

 Il suo documento militare, cioè il ruolo matricolare, è custodito nell’Archivio di Stato di Vercelli, che ha ereditato gli archivi dei soppressi Distretti militari come effetto del Decreto Legge 30/06/2005 n. 115 relativo alla sospensione del servizio di leva obbligatorio in Italia. Bernardo Perazzone (il cui numero di matricola militare era il 2766) era nato l’11 marzo 1898 da Paolo e da Maria Reviglione a Zimone, piccolo comune sulla Serra, che divide Canavese e Biellese. Alla visita militare risultava alto un metro e 65 centimetri, e aveva una circonferenza toracica di 84 centimetri. I capelli erano di color castano di forma “crestata”, equivalente all’odierna dicitura “capelli mossi”. L’esaminatore lo descrisse con il naso lungo, gli occhi castani, di colorito roseo e con una dentatura sana. L’arte o la professione che fu annotata fu quella di fotografo, insieme a quella di saper leggere e scrivere. Iscritto negli elenchi di leva del Comune di Zimone, Mandamento di Salussola nel Circondario di Biella, con una prima visita al Distretto di Vercelli la commissione medica il 14 febbraio 1917 ne decretò il congedo illimitato perché riconosciuto di seconda categoria.

Ma gli eventi, con conseguente tremendo bisogno di rincalzi per sopperire alle perdite, determinarono la chiamata anche delle categorie momentaneamente lasciate a casa. Pochi giorni dopo infatti, il 26 febbraio Perazzone venne nuovamente richiamato alle armi e inviato al Deposito del 5° Reggimento del Genio nella specialità dei minatori, ove giunse l’11 marzo del 1917. Il 5° reggimento (Minatori) si formò a Rivoli (Torino) il 1° novembre 1895 e durante la Grande Guerra mobilitò 9 battaglioni, 53 compagnie, 4 sezioni minatori, 6 e 2 plotoni di teleferisti, 5 compagnie, 6 plotoni  autonomi motoristi, 29 plotoni idrici e 2 compagnie di Milizia Territoriale. L’unità il 21 novembre 1919 assunse la denominazione di reggimento Minatori del Genio, che venne sciolta il 30 settembre 1922. Con l’ordinamento del 1926, il Raggruppamento si trasformò in 5° Reggimento Genio.

Esercitazioni a Carmagnola

L’istruzione del giovane di Zimone avvenne nei campi di Perosa, dove Bernardo iniziò di fatto la carriera di fotografo militare, documentando stralci della vita in caserma e delle esercitazioni. L’11 settembre 1917 Bernardo Perazzone fu quindi trattenuto per la mobilitazione. Il 15 giugno del 1918 venne  inquadrato  nella sezione minatori ciclisti e come tale, dal 1° gennaio fu in forza alla 3ª sezione fotografica della Terza Armata e dal 22 luglio 1919 distaccato presso il Comando d’Armata, da cui l’amicizia con il duca d’Aosta, come ci tramandano, oltre ai racconti, i ritratti fotografici e i ricordi familiari con una dedica del duca medesimo a lui indirizzata e altri encomi.

Perazzone fino alla data del congedo del 12 gennaio 1920 rimarrà inquadrato nel “Reparto Speciale a Roma nel Battaglione Dirigibilisti Sezione Fotografica”. Si ignora se Bernardo Perazzone abbia effettivamente preso servizio in tale disciplina, ma un’attività di fotografia area tra le due guerre mondiali e nell’immediato secondo dopoguerra è documentata negli archivi di famiglia e presso il “Fondo Perazzone” della Biblioteca Civica “Costantino Nigra” di Ivrea. Formalmente il giorno successivo ottenne il congedo illimitato non senza essere stato prima reinquadrato nell’originario 5° Reggimento del Genio Minatori, deposito di Torino. Di questa passione per la fotografia aerea restano alcune lastre eseguite negli anni precedenti la Seconda Guerra Mondiale, lastre che riproducono vedute aeree di Ivrea e delle montagne della vicina Valle d’Aosta.

Fotoritratto ufficiale del Duca d’Aosta comandante della III Armata, l’invitta, eseguito da Bernardo Perazzone

Secondo i racconti familiari tramandati da Franco Bellomo, genero di Bernardo Perazzone, l’ingresso nel settore fotografico venne determinato proprio dalle risposte del giovane Perazzone date agli ufficiali del Distretto Militare di Vercelli: «Aveva detto che era fotografo ma noi sapevamo, dai suoi racconti che sì, possedeva un apparecchio fotografico, ma era un semplice fotografo amatoriale e autodidatta. Arrivata l’ora della partenza, venne infine destinato a quella specialità». Sulle attestazioni per campagne e azioni di merito, sono riportate sul ruolo matricolare il timbro per la Campagna di guerra del 1918 con la concessione a fregiarsi della relativa fascetta, nonché della “Medaglia commemorativa della guerra italo-austriaca 1915-1918” e della “Medaglia interalleata della vittoria”.

Bernardo Perazzone con la nappina e la stelletta che indica un anno di guerra

In merito alla relativa facilità che ne caratterizzò l’impiego fotografico nei ranghi del Regio Esercito ci viene in aiuto la storia della fotografia militare nella Grande Guerra: nel maggio del 1915 vennero subito istituite tre squadre fotografiche “da campagna”. La prima, comandata dal capitano Cesare Antilli con sede a Udine e a disposizione del Comando Supremo; una seconda, comandata dal sottotenente Gastaldi con sede a Tricesimo (Udine) a disposizione della II Armata e infine una terza agli ordini del capitano Lancellotti a Cervignano (Udine) a disposizione della III Armata. Ogni squadra disponeva di un’autovettura con un ufficiale comandante, tre fotografi, un autista e un meccanico. Le macchine fotografiche in dotazione erano di due tipi con due formati diversi (13 x 18 cm. e 18 x 24 cm.) più altre fotocamere di formato minore. Ogni squadra aveva il compito di effettuare panoramiche del terreno e di creare una documentazione dettagliata a fini storici. Anche gli alpini avevano le loro squadre e le macchine erano attrezzate di teleobiettivo (macchine telefotografiche) idonee per la fotografia alpina da grande distanza. Squadre più piccole erano fornite ai parchi d’assedio e la Regia Marina disponeva di una Direzione del Servizio Fotografico di Aviazione, con sezioni a Brindisi e a Venezia.

L’importanza della documentazione fotografica per i comandi salì in modo esponenziale durante il conflitto: già dal luglio 1915 venne modificato e ampliato quello del Corpo Aeronautico. Ogni comando gruppo squadriglia aveva un proprio Laboratorio Fotografico Campale costituito da un capo operaio borghese e da tre militari di truppa fotografi, con materiali forniti dalla Squadra Fotografica del Comando Supremo. Le squadriglie di volo avevano macchine a ripetizione e a mano. Nel 1917 con il protrarsi delle vicende belliche vennero create otto squadre fotografiche terrestri del regio Esercito: la prima per la III Armata, la seconda per Gorizia e zone limitrofe, la terza da montagna per la III Armata, la quarta da montagna per la I Armata, una quinta sempre da montagna per l’Albania, la sesta (da montagna) per la IV Armata, la settima (da campagna) per la Macedonia e infine una ottava (da campagna) per la VI Armata. A ciò si aggiunse una nuova Sezione Fotografica e un magazzino fotografico avanzato assegnati al Comando Supremo di Udine.  Alla fine del 1917 vennero assegnati al Battaglione Dirigibilisti di Roma 106 militari, fotografi di professione, per aumentare i ranghi delle squadre fotografiche. Nel 1918 la Sezione Fotografica del Comando Supremo fu ampliata e denominata Direzione del Servizio Fotografico con magazzino avanzato dipendente dal Comando Superiore di Aeronautica presso il Comando Supremo. Alla fine della guerra si contarono circa seicento fotografi militari del Regio Esercito Italiano che produssero 150.000 negativi con 291 macchine fotografiche in dotazione. I negativi raccolti furono 17.000, le fotografie e i film furono ceduti nel 1919 al Comitato Nazionale per la Storia del Risorgimento, oggi conservati dall’Istituto della Storia del Risorgimento Italiano.

Elisabetta Bellomo

La seconda traccia ci è stata narrata sempre da Franco Bellomo, classe 1935, genero di Bernardo Perazzone avendone sposata la figlia Adriana e dalla nipote del fotografo, Elisabetta Bellomo, oggi residenti in Alessandria, dove Bernardo morì il 4 gennaio 1979. La raccolta fotografica, donata dalla moglie Angela Givonetti ormai rimasta vedova, alla Biblioteca Civica “Costantino Nigra” di Ivrea, Bernardo la esibiva volentieri nel negozio, ove si riunivano amici e clienti e tra loro molti reduci. Tra i tanti, nitido è il ricordo delle visite di Sergio Pugliese[1], l’eporediese che negli Anni ‘50 del Novecento era al vertice della programmazione della Rai Radiotelevisione Italiana. Conoscendo a fondo l’archivio fotografico, Pugliese scrisse un giorno da Roma a Bernardo Perazzone chiedendo di poterlo acquisire poiché aveva in mente di utilizzare le fotografie per farne un programma televisivo. Bernardo prese carta e penna e gli scrisse che non avrebbe spedito a Roma le fotografie, perché era certo che non le avrebbe mai più riavute. A quanto ricorda Franco Bellomo, va sottolineato che le foto di guerra conservate dal suocero erano molto più numerose di quelle mandate all’Archivio fotografico di Roma subito dopo il conflitto, perché Perazzone si teneva anche tutte quelle scartate.

Bernardo Perazzone all’interno del suo negozio fotografico a Ivrea, circa 1930.

Dopo il conflitto al Quartier Generale della III Armata gli fu proposto di seguire un corso specializzato di fotografia a Firenze, ma Bernardo era stanco della vita militare e voleva tornarsene nella sua Zimone perché ad attenderlo c’era la fidanzata, Angela Givonetti, che poi sposò a Ivrea l’11 settembre 1923. L’attività di fotografo a Ivrea fu però inizialmente contrastata dal padre. Infatti Paolo Perazzone, al lavoro in campagna affiancava quello di imprenditore edile, tant’è che costruì diverse case anche a Zimone, compresa quella di famiglia. Alle sue dipendenze aveva anche dei muratori e carpentieri e avrebbe voluto che il figlio seguisse la sua strada. Ma alla fine Bernardo la spuntò e riuscì ad aprire il proprio negozio a Ivrea.

Franco Bellomo

«Mia suocera – ricorda ancora Franco Bellomo – mi raccontava spesso questo episodio: prima di partire per la guerra, Bernardo mi aveva scattato alcune fotografie e non erano venute bene…». Certamente l’esperienza fatta nel campo della fotografia negli anni militari, contribuì a farlo sentire sicuro dei propri mezzi. Dopo la guerra il Duca d’Aosta lo chiamò a Trieste dove viveva in una villa nobile per fargli fotografare feste, cerimonie e banchetti. Perazzone in guerra non sempre era in prima linea e non aveva nessun superiore diretto; ricordava la vita di fotografo militare ricca di molte libertà. Il duca d’Aosta lo chiamava Giotto, l’artista del ritocco. Il duca gli riconosceva infatti una grande abilità nel migliorare i ritratti ritoccando le fotografie. Dopo la guerra si diede anche alla fotografia aerea, una passione direttamente collegata a quella del volo a vela, al punto che diventò socio pilota dell’Aero Club di Aosta.

Particolare riguardo Perazzone lo ebbe per la catena delle Alpi nella zona del campo volo di Aosta, città in cui come detto è documentata la sua presenza anche con un secondo negozio e sia come fotografo aereo tra le due guerre mondiali. Sua è una fotografia area del capoluogo valdostano pubblicata in un’opera del Touring Club Italiano[2].

BIBLIOGRAFIA

Nicola DELLA VOLPE, Fotografie militari, Ufficio Storico Stato Maggiore Esercito, Roma 1980.

Nicola DELLA VOLPE, Esercito e propaganda, , Ufficio Storico Stato Maggiore Esercito, Roma 1980.

Monica BASSANELLO, (Laureanda), relatore Alberto Prandi, Ugo Ojetti: Sottotenente “Soprintendente” ai monumenti nelle Terre Redente (1915 – 1919) Università Ca’ Foscari di Venezia, a.a. 2011/12

Stefano MANNUCCI, La Grande Guerra fotografata, in: Storia e Fotografia, Società Italiana per lo Studio della Storia Contemporanea, 2012.

Intervista a Franco e Elisabetta BELLOMO registrata a Zimone (Biella) il 28 agosto 2017.


[1] Sergio Pugliese (Ivrea 1908  – Roma 1967 ) fu giornalista, drammaturgo e direttore della Rai. Proveniva dall’Eiar fin dal 1936 e dopo la Seconda Guerra Mondiale, dopo un breve periodo di epurazione, rientrò alla Rai. Fu il primo dirigente a prendere in mano il destino della televisione italiana. Dopo aver viaggiato in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, decise di seguire il modello britannico della BBC fondata sui concetti di educare, informare e intrattenere. L’avvento di Ettore Bernabei, direttore generale della RAI dal 1961, mise in ombra la generazione ex EIAR. Pugliese morì a Roma, a soli 57 anni.

[2] La collaborazione con il TCI la si evince anche da una pubblicità per i soci del Touring, apparsa nella rivista mensile ”Le vie d’Italia, turismo nazionale, movimento dei forestieri, prodotto italiano” del 1928 (a pagina 68 si legge: Ivrea (Torino) Articoli fotografici – Bernardo Perazzone, Piazza d’Armi: 4% sugli articoli per i fotografi – 5% sui lavori fotografici).

Torino dimenticata. Ricognizioni tra memorie e luoghi di un tempo

un libro di Milo Julini

<p class="has-drop-cap" value="<amp-fit-text layout="fixed-height" min-font-size="6" max-font-size="72" height="80">In libreria l’ultimo lavoro di Milo Julini, ricercatore, scrittore e docente in pensione dell’Università di Torino dal titolo: <em>Torino dimenticata. Ricognizioni tra memorie e luoghi di un tempo</em>. (Baima e Ronchetti, Castellamonte, 271 pagine, 18€). Sotto forma di raccolta di medaglioni biografici, il curiosissimo Milo Julini getta una luce su quei personaggi dimenticati nel <em>canton dla dësmentia </em>(dimenticatoio)come lui lo definisce. Personaggi che ha proposto in svariate conferenze e che ora trovano una collocazione nel libro: “Spesso uso il termine <em>desaparecido </em>per indicare persone che, dopo aver rivestito una certa importanza in vita, da morti non vengono più ricordati”. Celebri, meno celebri e totalmente dimenticati, il libro è diviso in sei quadri: <em>luoghi e personaggi del risorgimento torinese, artisti e scienziati, sindaci di Torino, santi sociali</em>. Nello spazio dedicato a <em>Il re Vittorio Emanuele II nella sua vita intima</em>, Julini ripropone deliziosi ritratti di corte, del re vestito alla cacciatora sempre salvo cambiarsi solo di cappello per le circostanze ufficiali e i rapporti comici con i suoi cortigiani, tratti da: <em>Sul re Vittorio Emanuele nella sua vita intima. Bozzetti di Fausto; asterichi a matita di Mefistofele” di Rinaldo De Sterlich </em>edito nel 1878. Ultimo quadro è quello dedicato a <em>Torino tra memorie e luoghi di un tempo</em>. Naturalmente una parte ispiratrice del lavoro è legata alla toponomastica cittadina, spesso sconosciuta o trascritta malamente e spesso senza un nesso con il luogo. Ad esempio la barriera di Lanzo raccoglie nei nomi delle vie i garibaldini piemontesi che fecero parte dei Mille della spedizione. Come il caso del garibaldino canavesano Giovanni Destefanis che dà il nome all’omonima via torinese, era nato a Castellamonte il 18 luglio 1832, ma per anni fu confusa con Castellammare… .Vie, corsi, piazze, luoghi e tanti personaggi della Torino che fu, ritrovano in questo lavoro una collocazione che non vuole avere la pretesa di essere esaustiva, in cui l’autore, sebbene innamorato della sua Torino, non si sente un “addetto ai lavori” e così dichiara:” Questo si fa sentire nella scelta delle tematiche considerate nei miei articoli che sfugge ad ogni criterio sistematico e aggrega gli argomenti per suggestioni.” Milo Julini ha all’attivo, tra i vari articoli anche numerosi volumi: <em>Processi e sorrisi. Racconti giudiziari (1865-1878)</em> nel 2012, dell’anno successivo <em>Cronache criminali del vecchio Piemonte</em> e <em>Il primo scandalo dell’Italia unita</em>. Nel 2014: <em>Ombre coltelli e scheletri. Due secoli di Torino noir</em> e nel 2017 <em>Torino che non c’è più</em>, seguito da <em>Ladri di cioccolato e altre storie giudiziarie</em> con Giorgio Enrico Cavallo.In libreria l’ultimo lavoro di Milo Julini, ricercatore, scrittore e docente in pensione dell’Università di Torino dal titolo: Torino dimenticata. Ricognizioni tra memorie e luoghi di un tempo. (Baima e Ronchetti, Castellamonte, 271 pagine, 18€). Sotto forma di raccolta di medaglioni biografici, il curiosissimo Milo Julini getta una luce su quei personaggi dimenticati nel canton dla dësmentia (dimenticatoio)come lui lo definisce. Personaggi che ha proposto in svariate conferenze e che ora trovano una collocazione nel libro: “Spesso uso il termine desaparecido per indicare persone che, dopo aver rivestito una certa importanza in vita, da morti non vengono più ricordati”. Celebri, meno celebri e totalmente dimenticati, il libro è diviso in sei quadri: luoghi e personaggi del risorgimento torinese, artisti e scienziati, sindaci di Torino, santi sociali. Nello spazio dedicato a Il re Vittorio Emanuele II nella sua vita intima, Julini ripropone deliziosi ritratti di corte, del re vestito alla cacciatora sempre salvo cambiarsi solo di cappello per le circostanze ufficiali e i rapporti comici con i suoi cortigiani, tratti da: Sul re Vittorio Emanuele nella sua vita intima. Bozzetti di Fausto; asterichi a matita di Mefistofele” di Rinaldo De Sterlich edito nel 1878. Ultimo quadro è quello dedicato a Torino tra memorie e luoghi di un tempo. Naturalmente una parte ispiratrice del lavoro è legata alla toponomastica cittadina, spesso sconosciuta o trascritta malamente e spesso senza un nesso con il luogo. Ad esempio la barriera di Lanzo raccoglie nei nomi delle vie i garibaldini piemontesi che fecero parte dei Mille della spedizione. Come il caso del garibaldino canavesano Giovanni Destefanis che dà il nome all’omonima via torinese, era nato a Castellamonte il 18 luglio 1832, ma per anni fu confusa con Castellammare… .Vie, corsi, piazze, luoghi e tanti personaggi della Torino che fu, ritrovano in questo lavoro una collocazione che non vuole avere la pretesa di essere esaustiva, in cui l’autore, sebbene innamorato della sua Torino, non si sente un “addetto ai lavori” e così dichiara:” Questo si fa sentire nella scelta delle tematiche considerate nei miei articoli che sfugge ad ogni criterio sistematico e aggrega gli argomenti per suggestioni.” Milo Julini ha all’attivo, tra i vari articoli anche numerosi volumi: Processi e sorrisi. Racconti giudiziari (1865-1878) nel 2012, dell’anno successivo Cronache criminali del vecchio Piemonte e Il primo scandalo dell’Italia unita. Nel 2014: Ombre coltelli e scheletri. Due secoli di Torino noir e nel 2017 Torino che non c’è più, seguito da Ladri di cioccolato e altre storie giudiziarie con Giorgio Enrico Cavallo.

Venerdì 12 aprile alle ore 21:00 in via Aldisio 12/A presso la sede provvisoria della sezione Unuci di Ivrea (Unione Nazionale Ufficiali in Congedo d’Italia) la scrittrice Debora Bocchiardo presenta il suo ultimo romanzo “Cieli d’Irlanda” recentemente premiato tra i finalisti del “Premio Mario Soldati 2018”  nella sezione «Narrativa» (Centro Pannunzio di Torino) e premiato con “Profumo d’Autrice” della Città di Cattolica.

Molly Rivers, giovane architetto, ha appena perso il marito in un drammatico incidente. La sua esistenza è distrutta. Rimasta sola, cerca di rimettere insieme i pezzi della sua vita e di ricominciare investendo in una proprietà immobiliare, praticamente in stato di abbandono, poco a nord di Dublino. L’antica dimora diventa il pensiero fisso che le permette di progettare un nuovo futuro, ma è anche un luogo magico, abitato da curiosi inquilini e da un affascinante fantasma… In quel piccolo angolo d’Irlanda sembrano giungere tutti coloro che vogliono ripartire con le loro vite. L’esistenza di ogni persona, del resto, è come i cieli d’Irlanda: può mutare improvvisamente e portare nuove possibilità… Ma un misterioso personaggio aleggia intorno a Molly. La donna subisce furti, intrusioni e attentati… Chi vuole la sua morte? Coloro che crede amici lo sono davvero?

Debora Bocchiardo ritorna all’UNUCI di Ivrea dove aveva presentato nel dicembre del  2015 l’allora suo ultimo romanzo “Scozia Express”. Ingresso libero fino ad esaurimento dei posti disponibili.

La recensione di Fabrizio Dassano: GIOVANNA TERNAVASIO – UNDICI DONNE, UNA.

Giovanna Ternavasio proviene dalla letteratura dei più piccoli (Piccolo Poeta, Edizioni Paoline, La casa delle fate, Edizioni Piccoli) ma in questa sua raccolta di undici racconti riesce farsi sentire scrittrice capace, sottilmente capace di fare sentire il lettore “a casa”. Perfettamente a proprio agio godiamo di una scrittura piana che non riserva apparenti clamori, un mare tranquillo ma che sotto sotto, tanto tranquillo non è: storie d’amore passati e presenti, ricordati e anelati, equilibri turbati che poi però tornano ad una serena accettazione e all’orgoglio femminile di aver saputo scegliere nella vita.  Sono undici racconti che rappresentano undici storie di donne perfettamente conviventi nella testa della scrittrice. Se abbiamo la certezza che per tutte le protagoniste dei racconti vi sia Torino nell’epicentro, intorno vi è un Piemonte fatto di colline del Monferrato e delle Langhe, come un quadro a olio che fa da sfondo naturale con un paesaggio che accende la curiosità per la sua riconosTernavasio 001cibilità e ne aumenta il carattere di familiarità. Se oggi si parla di “realtà aumentata” nel caso della Ternavasio di può parlare di “familiarità aumentata”: estremamente piacevole.  Ma  le istanze sono universali: il desiderio di maternità, di un amore vero in mezzo a tanti finti, di una casa, di  una libera scelta, di un successo insperato sul lavoro. La tristezza del ricordo dei genitori che ci lasciano chiudendo gli occhi, una sorella che muore.  Storie che appartengono al “lessico torinese e piemontese” e che rendono certe ambientazioni uniche come il soggiorno mezzo nobile di casa Del Pero o la casa di ringhiera con il ballatoio in comune. I caffè che non sono ancora bar. Vi è tutta quell’atmosfera vissuta tra gli anni ’70 e oggi, a volte un po’ troppo spiegata e meno raccontati in cui forse, esce la Ternavasio dei libri parascolastici (Bagliori, dall’alba dei tempi a domani Pionieri d’Europa) ma vi è anche tutta la tradizione dei ricordi familiari che vanno indietro nel tempo e nell’epos del Novecento torinese. Vite espresse in un alloggio di due camere e un bagno in Borgo San Paolo oppure istanti erotici in una cascina di Settimo Torinese, un amore rincorso a Vercelli e le illusioni ancora d’amore, questa volta intorno ad una camera bianca che diviene feticcio sublimato. La geografia, l’urbanistica e persino le piantine degli appartamenti di Giovanna Ternavasio, non lascia scampo: una trappola perfetta per far cadere il lettore in braccio alle undici storie e soprattutto a undici amabili donne.

UNDICI DONNE, UNA, Editrice tipografia Baima – Ronchetti & C., Castellamonte 2019, euro 15.00.

Raffaele Piazza: il dolore e l’epitaffio del poeta

Riceviamo questa raccolta di poesie su Mirta che pubblichiamo, andando ad aggiungere un nuovo tassello nella produzione poetica di Raffaele Piazza.

 

Mirta ancora vicina

 

Anima di luna, tu Mirta

nelle cose aurorali ancora

mi parli e mi dici di non

avere paura. Abbiamo attraversato

il sentiero azzurro della vita

la tua villa faro per me

per la nostra connivenza.

Sei volata via dal terzo

piano della Reggia e hai

aperto in me la ferita.

Ora passano i giorni

senza te e non si ricompone

l’affresco del tempo che nelle

nostre risate si fermava

nella gioia.

Grazie per avermi dettato

questa poesia.

 

 

Mirta nelle acque del cielo

 

Ti vedo nuotare, Mirta,

nel fiume del paradiso

che hai raggiunto, ancora

così bruna e così donna.

Non hai rimpianti per la

valle che hai lasciato

né per noi che rimaniamo

nell’esilio. Acque fresche

per te che fortuna attiri

per chi ti nomina dopo

il tuo suicidio. Non avevi

peccati e sei stata presa

a braccia aperte. Ti vedo

nuotare nelle acque del cielo,

Mirta, invidiata e fraintesa

qui sulla terra. Adesso

mi disseto a un rigo della

pena che ho per te, Mirta,

che te ne sei andata,

unica amica nella ressa dei

giorni di quando mi traevi

da tutti della vita i labirinti.

 

Mirta oltre il nulla

 

Il nulla, ma ad emergerne

tu, Mirta, viva più di prima

di essertene andata per

tua scelta di dolore. Ma, adesso,

mi sei accanto mentre scrivo

e mentre lavoro dolce e ridente

sinuosa e sensuale

come quando mangiavamo

insieme la vita o mi invitasti

a dormire nella tua villa:

era gennaio e il rimpianto

della purezza tua e del freddo

mi entra nell’anima nell’estate

torrida e mi insegna l’arte

di recitare la vita se non è

nuotando esistere.

Mirta, ora che sei morta suicida

a 44 anni, se alzo lo sguardo

ti vedo sorridere nell’azzurrità

e non è finzione.

 

 

Mirta Rem Picci ed io

 

Scherzavamo sulla canzone

di Battisti Una donna per amico

ti definivi il mio portafortuna

mi svelavi tuoi intimi segreti.

Giocavamo con le poesie:

io ti leggevo miei versi e ti

chiedevo di chi erano e tu

spesso sbagliavi e rispondevi

di Luzi o di Montale. Diventavo

Montale nella tua vergine anima.

Ora ti sei tolta la vita e non

possiamo più giocare.

Volevi la mia felicità, Mirta,

fiore rarissimo l’amicizia

uomo donna. Eppure esisti

più di prima ora d’estate

anima di ragazza e di Dio.

 

 

Mirta sorgente viva

 

Dove sei ora, Mirta, inter animata

a mari freschissimi dove nuoti

sei nella grazia che cercavi

in terra e non trovavi. E te

li ha dati Dio, oceani sicuri

dove t’immergi e ti fai sorgente

di parole, queste parole.

A me che sono rimasto dici

di non temere questo nulla

di vita che è bella come

un paleocristiano in una chiesa

affresco, tinte pastello ad entrare

nell’anima. Non mi manchi,

Mirta, perché ti sento ora più

vicina di quando mangiavamo

insieme. Sento che adesso sei

felice come una donna e lavori

e stai con tuo padre e Massimo.

Serena senza peccati mi apri

alla gioia il varco, Mirta.

 

 

La poesia di Antonio Spagnuolo

Napoletano, medico, dirige riviste letterarie e di poesie e blog molto seguiti. Nato il 21 luglio 1931, ha fondato e diretto negli anni 80 la rivista “Prospettive culturali” , alla quale hanno collaborato firme autorevoli . Presente in numerose mostre di poesia visiva nazionali e internazionali , inserito in molte antologie, collabora a periodici e riviste di varia cultura. Attualmente dirige la collana “le parole della Sybilla” per Kairòs editore e la rassegna ”poetrydream” in internet  ( http://antonio-spagnuolo-poetry.blogspot.com ).   Nel volume “Ritmi del lontano presente” Massimo Pamio prende in esame le sue opere edite tra il 1974 e il 1990 . Plinio Perilli con il saggio “Come l’ombra di una  nuvola sull’acqua” (Ed. Kairòs 2007) rivisita gli ultimi volumi pubblicati fra il 2001 e il 2007. Ha pubblicato numerosi volumi di poesia , quasi tutti premiati. Fra le ultime SONY DSCsegnalazioni: Menzione speciale al premio “Aoros 2017” – Lauro d’oro alla carriera “Premio città di Conza 2017”  , premio “Libero de Libero 2017” – Premio “Le nuvole Bertrand Russell 2017”—-Tradotto in francese , inglese , greco moderno , iugoslavo , spagnolo, rumeno . Vi presentiamo qui tre suoi lavori  che ospitiamo con grande piacere. (fd)

 

 

 

 

“Una strega”

Con gli occhi fissi nel cupo sortilegio

una strega mi affascina , nel silenzio

di queste mura ormai ridotte al nudo.

Ha scomode parole nel corpo lacerato

da pensieri incompiuti , quasi incerto ,

e grida all’improvviso al mio pallore

la selvaggia disfonia  dell’eternità.

Senza storia il cuscino profumato

inghiotte il tremore delle  mani,

oltre ogni promessa , e l’infinito

si aggira contro il tempo , per carezze

della tua pelle delicata nell’incisione del bianco.

Un sottile giogo contorce le mie membra,

quando ritorna primavera inaspettata,

e mi perdo nelle armonie del cielo

per rincorrere il segno delle luci.

Le mani in sospensioni cercano quiete

nel  tempio dell’umido tuo seno.

L’orizzonte marino ha il luccichio

di risacche, quasi un graffio allo schermo

che ripete memorie e dispetti .

Il tuo dire erano sillabe d’oro,

appuntamenti con il  vortice scatenato

della gioventù .

**

“Sesso”

Il suo raggio desiderato era di crine

brillato per me nel crepuscolo,

al confine delle cosce , carne rosata ,

perché legata al ramo come silfide.

La notte pronta al richiamo del sesso

turgido sino al culmine del volo

invoca parole sussurrate

nel luccichio di stelle che primavera adorna.

Sei nuda e tormentata tra le coltri

perché le dita sfiorano le labbra

a cesellare il bacio che scoppia nella nebbia.

L’oblio dei sogni scende lentamente

e tu sei schiava nel segreto porgere

il ventre profumato.

Batte il sangue alle tempie e luccichio

incessante ha fragranze di rose

per me che sono a correre in segreto.

**

“Sogni”

Inghiottiti dal sogno scopriremo l’abisso

che ritorna alle cosce , all’orecchio , alle unghie,

all’insaputa meraviglia della carne.

Tu hai fornace che assorbe al primo colpo

per impazzire anche quando sono ancora

distillato nel diafano narrare delle sillabe.

Di te mi parla il fantasma

che capovolge anche il tempo

e grida al clavicembalo antichi torpori

nell’anonima nebbia di un fragile pretesto.

Inventammo la luna nelle stagioni stranite,

guadagnammo gli specchi

per riflettere il nudo del tuo corpo

e imprigionare i capelli tra i pensieri in fuga.

Filigrana e tremore hanno la sospensione

di mani sempre in cerca dell’umore,

che sconfigge il riverbero dell’impazienza

nell’avida attesa del tuo grembo.

MANIFESTO per il FUTURO PROSSIMO: Le scuole dell’Anfiteatro Morenico di Ivrea vogliono il MuDI insieme al riconoscimento dell’UNESCO

immagine939391Lo scorso martedì 27 marzo in sala Santa Marta a Ivrea si è svolto un incontro pubblico per la presentazione del Piano di Immagine e di Comunicazione della Candidatura di “Ivrea Città Industriale del XX Secolo” per l’iscrizione alla Lista del Patrimonio Mondiale dell’ UNESCO. Hanno partecipato il sindaco Carlo Della Pepa, Renato Lavarini coordinatore della candidatura, Luciano Nardi e Miriam Goin dell’agenzia “Kube Libre” di Milano, Gilberto Guerriero, coordinatore Comunicazione Città di Ivrea, Paola Mantovani Direttore del Museo a cielo aperto dell’Architettura Moderna di Ivrea che hanno illustrato il sito internet della candidatura e il progetto di allestimento del Visitor’s Centre. Chiediamo a Lucia Mongiano di spiegarci la novità che ha caratterizzato l’incontro e cioè la proposta del “Manifesto per il futuro prossimo” da lei presentato a nome di tutte le istituzioni scolastiche dell’Anfiteatro Morenico di Ivrea che ha come finalità l’invito a realizzare un museo didattico dell’innovazione a favore della formazione continua e permanente.

Di cosa si tratta? La scuola dell’Anfiteatro Morenico di Ivrea – come ha ben sottolineato il Sindaco – comprende l’istruzione che va dal ciclo dell’infanzia all’ultima classe delle secondarie superiori includendo la formazione professionale. Una consistente fetta di popolazione del futuro. Da questa base giovanile parte l’istanza che per davvero tutto il territorio faccia sinergia partendo dalle importanti realtà e competenze già presenti, come il Laboratorio-Museo Tecnologic@mente, l’Associazione Archivio Storico Olivetti, l’Archivio Nazionale del Cinema d’Impresa, unendo anche la partecipazione di forze economiche necessarie alla riuscita dell’impresa. Questa idea, da come leggo sul vostro manifesto, è patrocinata da: gli Istituti comprensivi di Azeglio, 1 e 2 di Ivrea, Pavone, Strambino, Settimo Vittone, Vistrorio, il Consorzio Interaziendale Canavesano per la formazione professionale, la Casa di Carità Arti e Mestieri, i Licei “Botta” e “Gramsci”, gli Istituti “Olivetti” e  “Cena”, rappresenta qualcosa come 94 plessi scolastici dell’Anfiteatro Morenico di Ivrea. A cosa mira? Qui sono infatti presenti l’eredità materiale che testimonia di questa formidabile esperienza e il lascito immateriale – ecco dunque un’altra importante sinergia da attuare con la Fondazione Adriano Olivetti. Questo enorme patrimonio di cultura deve diventare diffuso e organizzato, deve dare vita ad un movimento di forte innovazione formativa ed un occasione di rilancio sociale ed economico dell’intero territorio. La richiesta che viene dal mondo della scuola mira alla società civile chiedendo di unire gli sforzi e le risorse per assumere l’iniziativa di diffondere questa ricchezza creando un polo educativo di eccellenza che abbiamo chiamato MuDI. Ci spieghi cosa intendete per MuDI. Lo pensiamo come ad un “unicum” a livello europeo, costituito da una Sezione storica che riguarda lo sviluppo nel tempo della scienza e della tecnologia che hanno determinato lo sviluppo delle conoscenze e del lavoro dell’uomo per arrivare alla preminente rivoluzione informatica, con lo slogan: imparare guardando. La seconda è una Sezione sperimentale basata sull’apprendimento con presentazioni in realtà aumentata e la conduzione personale di esperimenti con lo slogan: imparare giocando. La terza è la Sezione applicativa del saper fare FAB-brica LAB-oratorio per aiutare i giovani a sviluppare le loro idee nella creazione di nuovi prodotti e servizi, luogo d’incontro tra giovani e imprese e di alternanza scuola-lavoro con seminari di interesse specifico, con lo slogan: imparare facendo. L’ultima sezione riguarda l’Esposizione, esporre i prodotti caratteristici del territorio e delle sue opportunità turistiche: imparare viaggiando. Quindi, riassumendo, una struttura nuova che possa far coincidere istanze differenti animato da una sorta di “motore culturale”? Sicuramente in virtù della qualità e della quantità del materiale disponibile, può diventare un “unicum” europeo con la sua attrattiva culturale, turistica e il suo potenziale educativo possono costituire una forza propulsiva per lo sviluppo dell’intera comunità. Certamente il non realizzarlo in un fuimagesturo prossimo significherà invece la dispersione di un grande patrimonio di conoscenza che i nostri predecessori, sotto la guida di imprenditori illuminati, hanno accumulato e sfruttato per creare benessere diffuso in tutto il territorio. Quali sono stati i commenti a questa vostra iniziativa? Tra il pubblico c’era qualche dubbio, ma abbiamo subito ricevuto l’appoggio di Laura Salvetti, del Laboratorio-Museo Tecnologic@mente, eppure le prove tangibili dell’esperienza di Ivrea ci sono e poi come diceva Adriano Olivetti: “Il termine utopia è la maniera più comoda per liquidare quello che non si ha voglia, capacità, o coraggio di fare. Un sogno sembra un sogno fino a quando non si comincia da qualche parte, solo allora diventa un proposito, cioè qualcosa di infinitamente più grande”. Quale saranno i i primi passi del MuDI? Per ora una e-mail a cui si può scrivere, mudi@gmail.com perché dietro a quell’indirizzo ci sono tante persone impegnate nella missione dell’istruzione e del futuro prossimo degli studenti, e le prime riunioni progettuali con chi ha già dato l’assenso alla partecipazione. 

Fabrizio Dassano – Territori del ‘meraviglioso’ in Piemonte: Verrua Savoia

da:

L’ESCALINA

Rivista semestrale di cultura letteraria, storica, artistica, scientifica

Anno V – Numero 1

Aprile 2016

Associazione Culturale “I Luoghi e la Storia”

Ivrea

ISSN 2280-5095

L’Escalina (Ivrea)

ISBN 978-99-95704-86-9

 

 

 

 

  1. Considerazioni sulla geografia del fantastico

In genere la geografia del fantastico tende a dimostrare una possibile esistenza di aree più o meno vaste in zone apparentemente poco conosciute, ma di fatto irraggiungibili, in quanto fantastiche, non appartenenti al mondo reale. Ma si crede fermamente, e si trattano gli elementi geografici in maniera “scientifica”, come se esistessero. Insomma un dogma culturale che sembra svelare la tendenza ancestrale dell’umanità, tecnologicamente più avanzata, a tornare verso un ancestrale necessità di differenti livelli di realtà. E mi riferisco alle mappe fantastiche elaborate dallo scrittore Tolkjen, ma Continua a leggere

Mercoledì 24 maggio 2017 a Borgo d’Ale (Vc)“…io sono sempre allegro fino all’ultimo momento…”

Mercoledì 24 maggio, alle ore 18,30 a Borgo d’Ale (Vc) presso la Biblioteca Civica (ex chiesa di S. Francesco Via Roma 1), si terrà l’inaugurazione della Mostra fotografica relativa al primo conflitto mondiale   Immagini dal Fronte con la presentazione del catalogo. Interverrà il prefatore dell’opera Fabrizio Dassano.

Locandina borgo d'ale

Il progetto, ideato ed eseguito dal gruppo fotografico “La Bottega”, si snoda sugli impegni e gli appuntamenti quadriennali 2015-2018 per il centenario della prima guerra, con la concessione all’utilizzo del logo ufficiale della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Un percorso articolato in immagini inedite sulla vita in Trincea e dal Fronte, un estratto dal diario del Sottotenente Amilcare Ruffino e documenti di combattenti borgodalesi. Una ricca documentazione attraverso una sequenza suggestiva e di grande impatto emotivo. Iniziata nel 2015 e arricchita quest’anno dallla collaborazione con l’ American  Battle Monuments Conmission una liaison da scoprire nel contesto della Mostra.

ORARI MOSTRA: 

Sabato       27 maggio      16-19

Domenica 28 maggio       10-12   16-19

Venerdì      2 giugno         10-12    16-19